Felicità: istruzioni per l'uso

di Bianca Crespi

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Questa settimana lo psicologo-attore Paolo Vergnani illustra alcune strategie per godersi di più la vita. Non accontentandosi solo di "zone di conforto" come lo shopping o una partita di calcio in tv

Vivere felici e contenti è un obiettivo di tutti, ma difficile da realizzare per chi non abita nel mondo delle favole: la contentezza che deriva da un’esistenza appagata, serena, si chiama infatti “stato di benessere” e si distribuisce nei giorni in modo orizzontale. La felicità, invece, scatena emozioni forti e concentrate in un arco temporale ridotto. È insomma un picco. Non necessariamente riservato a chi vive serenamente, anzi, spesso è vero il contrario, come ci spiega Paolo Vergnani, psicologo attore di Bologna (www.teatrodimpresa.it), che questa settimana svela alcune strategie per godersi di più la vita.

«Immaginiamo un grafico, che rappresenti l’andamento del benessere e della felicità personali. E attribuiamo un 10 ai picchi di felicità. Bene, se il livello di benessere è alto, diciamo intorno al 7, per arrivare a 10 occorrono solo tre passaggi: pochi per fare una reale differenza. Ecco perché chi “sta bene” a volte rischia di non accorgersi neppure dei momenti felici».

E chi ha una vita insoddisfacente, invece, per esempio con un grado di benessere pari a 3? «Registrerà ogni picco di felicità, che lo porta così lontano dalla sua condizione abituale, talvolta in modo amplificato».

Chi vive contento, dunque, rischia di non essere mai del tutto felice. E chi raggiunge la felicità di non sperimentare il benessere. Vie d’uscita?

«Nel primo caso, a volte sarebbe utile rimandare almeno un po’ la soddisfazione di un desiderio: i dolci, i viaggi, gli abiti eleganti... Un modo per ridare valore a ciò che ormai si da per scontato, perché, come aveva già capito Freud 115 anni fa (nel suo Progetto di una psicologia), il piacere nasce sempre dallo scarico di una tensione precedente».

E chi invece ne accumula troppe, di tensioni?

«Occorre riconoscere la propria insoddisfazione, per poi operare i cambiamenti necessari. Spesso, invece, ci si ritaglia spazi piacevoli che aiutano a sopportare le frustrazioni. Si tratta delle cosiddette “zone di conforto” . Sono utilissime, ma solo finché il proprio hobby, per esempio, dal calcio allo shopping, non diventa l’unica fonte di piacere. In quel caso, vuol dire che la propria vita richiede miglioramenti. Ripartendo dai desideri autentici».

 

(La Repubblica, Psicologia omeopatica, 13 maggio 2010)

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